Se rimandiamo la riflessione sul tema della morte, operiamo contro di noi. Se la morte è l’unico fatto certo della vita (nella vita ci può capitare di tutto, meno che non morire!),  perché questo unico dato certo non viene preso sul serio come merita?

Perché non viene colta l’occasione per approfondire una riflessione in merito?

Perché si vive come se la morte non ci fosse?

Perché tendiamo a non prepararci in previsione di questo unico fatto certo e ci occupiamo di tutt’altro, quando tutto il resto è discutibile e solo probabile?

Ci si prepara per diventare questo o quello, per imprese che non è neanche certo che possano farci conseguire il risultato prefisso, mentre il viaggio della vita ha sicuramente un epilogo e questo epilogo è la morte.

Non vi appare strano il fatto che le persone vivono come se la morte non ci fosse? La morte viene ignorata o rimossa solo perché ci fa paura ed è la paura che ci fa distrarre da questo reale problema.

Ma che frustrazione quando accantoniamo un problema invece che risolverlo!

Se non ci occupiamo del problema, certo la soluzione non arriverà mai. La persona che si chiude nelle sue paure, diventa come una bestia in trappola.

In natura tutto è morte e rinascita. Tutto muore per rivivere. In realtà, esiste soltanto la vita. E allora che cos’è la morte? Un incidente occasionale, un fatto da rimuovere come estraneo alla vita? Se pensassimo così, ci inganneremmo.

Nascita e morte in un essere umano rappresentano l’alfa e l’omega, il pilastro iniziale e finale della sua vita. Ma di quale vita stiamo parlando? Stiamo prendendo in considerazione la vita incarnata, ma non esiste soltanto la carne. Dunque la morte riguarda tutto l’essere o solo la carne?

Per rispondere a questa domanda occorre fare un lavoro approfondito su noi stessi, per ascendere ad un punto di vista che travalica le mere percezioni dei sensi. Le persone prese dal vortice delle esperienze sensoriali sono agitate, ansiose, disturbate, spintonate dagli impulsi come una biglia nei vecchi flipper. Muovono le braccia e credono di volare. Si agitano e credono di agire.

Chi si affeziona alle emozioni effimere, prodotte dall’incontro dei sensi con i loro oggetti, brucia il tempo a sua disposizione e perde la possibilità di vivere in serenità. La serenità è uno stato di pace mentale, come ci spiegano i Veda, i primi testi scritti dell’umanità, eccelse opere di visione metafisica e consapevolezza spirituale. Le onde delle acque mentali sono provocate dai pensieri e dalle emozioni e se queste acque non diventano calme, non si può capire cosa ci sia sul fondo della coscienza. Dunque uno dei presupposti fondamentali per riflettere in maniera approfondita e costruttiva, è non avere una mente agitata. Una mente agitata è per definizione un ostacolo alla comprensione, che dire quando si tratta di comprendere fenomeni così alti e sottili come la morte.

Occorre liberarsi da quella gabbia senza confini che è la percezione sensoriale con il conseguente turbinio di emozioni e pensieri condizionati.

Ognuno di noi è ad un certo livello di consapevolezza come esito delle proprie scelte.

Quando noi scegliamo di aderire ad un dato pensiero o desiderio, piuttosto che ad un altro, e andiamo nella direzione di realizzarlo, facciamo una scelta che determina non solo chi siamo ma anche chi saremo.

Come spiega la Bhagavad-gita, dhira, il saggio, è colui che non teme la morte, perché ha visto e sperimentato la vita, e perciò si rende conto che la morte è solo un passaggio da uno stato di esistenza ad un altro.

Matsyavatara das

(Marco Ferrini)

(dal sito www.marcoferrini.net)