Oggi la scienza ha scoperto, con la teoria dei quanti, come la coscienza possa influenzare la modalità delle strutture delle cose. L’uomo è la creatura più cosciente in natura, e se gestisce la sua coscienza in modo inutile può provocare gravi scompensi nell’ordine naturale. Per conoscere il significato della sua vita è necessario che perda la febbre del suo egocentrismo e l’attaccamento alle cose impermanenti e che capisca che è di natura eterna (che non muore e non ha bisogno di difendersi, poiché è protetto dall’amore di un Essere perfetto). È necessario che raggiunga il suo equilibrio interiore e la sua salute spirituale; che si liberi della malizia, dell’invidia, della collera, della maldicenza e dell’eccessivo attivismo e faccia posto alla innata compassione del cuore, alla solidarietà con le altre creature, all’ottimismo che gli permette di percepire nell’utilità di ogni cosa l’amore divino. Se guarda ogni cosa solo con il suo egoismo sarà costretto a sacrificare qualcosa o qualcuno e rompere quell’armonia d’amore. Allora non può accusare Chi ha generato il creato.
Quando un essere vivente nasce si identifica al suo corpo di materia che è condizionato alle leggi della natura. Il suo spirito con i suoi pensieri, le sue emozioni e i suoi desideri divengono influenzati dalle necessità del corpo fisico. Così la psiche condizionata dalla mutevolezza delle condizioni fisiche, sarà spesso disturbata, limitando la capacità di prendere consapevolezza del vero aspetto delle cose e non saprà elevarsi a percezioni superiori. Egli, centrato sui suoi bisogni psicofisici sempre soggetti a cambiamenti, non riesce a raggiungere stati di stabilità mentale e di lucidità costante necessari alla coscienza per giungere attraverso l’abbandono delle condizioni corporali al piano spirituale che trascende la materia (lo scopo dello yoga). Se la coscienza non riesce a stabilire un contatto con la sua natura spirituale, la vita non può essere serena. Per ristabilire questo contatto deve trovare un contatto con Dio.
In un’era qual’è la nostra, dove l’essere umano conosce tante cose, ma non se stesso, poiché non si guarda, né si confronta, né conosce il suo vero sé, l’anima, vive, dopo l’ennesima delusione, incertezza e preoccupazione, l’angoscia per non poter esprimere la sua gioia di vivere. Se il suo agire non scaturisce dal proprio centro, il cuore, nato da un bisogno spirituale dell’individuo, un anelito naturale d’amore verso Dio e tutte le Sue creature, se il concetto di ciò che è giusto e vero nasce dalla speculazione mentale ed intellettiva e non dalla sapienza innata dell’amore, niente gli apparirà vero e giusto, e il suo vivere mediocre diviene un viaggio estenuante in una bolla di sapone sempre pronta a scoppiare. In questo stato la realtà della propria vita è coperta da una fitta oscurità, da un disagio profondo e disillusione angosciante.
L’uomo oggi sta andando in pezzi poiché ha perso di mira la sua dimensione spirituale. Ha perduto, dando priorità a cose secondarie, qualcosa di infinitamente prezioso: le radici di sé stesso, la sua dimensione spirituale dove solo può vivere in pace. Deve ritrovare il terreno dove crescere in consapevolezza e serenità ed entrare in contatto con la sua natura, la sua essenza spirituale che lo conduce a Dio. Il suo pensiero, i suoi attaccamenti e la volontà di realizzare quegli attaccamenti, lo spingono ad agire. Il pensiero è la concentrazione dell’attenzione sulle idee, nate dalle percezioni che l’esperienza imprime nella mente e che l’intelligenza della persona usa per raggiungere gli scopi prefissati. La scelta della natura di questi scopi determina la serenità della persona. Quando questa persona si attacca alle cose impermanenti (mentre egli per natura spirituale è eterno) e comincia a desiderare di godere di esse, dirige l’attenzione (e quindi la sua coscienza) per trarre emozioni di felicità dalla ricerca del piacere dall’oggetto dei suoi attaccamenti, ma poiché quest’oggetto fa parte delle cose impermanenti, prima o poi scompare e con esso scompare anche la felicità che genera, lasciando la persona nella disperazione. Poiché tutto in questo mondo è soggetto a mutare, nel suo cuore nasce anche la paura di perdere quell’oggetto di attaccamento, e una volta perdutolo, il suo sentimento di separazione lo rende senza la gioia di vivere o addirittura senza più speranza. Se non sa come raggiungere ciò che desidera, se qualcuno gli nega ciò a cui aspira o glielo porta via, la sua mente si agita. Ecco allora nascere in lui le forti passioni della frustrazione, della collera, o addirittura dell’odio (con la vendetta) e della pazzia che lo spingono a distruggere. La sofferenza nasce dal non poter conciliare la nostra natura spirituale eterna con il mondo materiale effimero che diventa, con i suoi limiti una prigione per l’ anima. La ricerca del piacere dei sensi psico-fisici preclude l’espressione autentica e disinteressata dell’amore dove l’individuo trova la sua felicità autentica e duratura.
Tutti i sentimenti verso le cose impermanenti creano malessere e distolgono dalla percezione di ciò che invece genera beatitudine. È necessario quindi rendersi dapprima conto che viviamo attualmente in un mondo dove tutto è effimero, limitato e impermanente, adesso c’è, domani non c’è più, mentre noi, l’anima, siamo eterni. Vivere cercando di procurarsi soddisfazione delle cose che cambiano, ci renderà sofferenti e la volontà di possedere ciò che è effimero prima o poi nutrirà la paura. Il mondo di materia è un mondo di dualità, oggi può esserci molto caldo, domani freddo, domani c’è il sole e dopodomani può scendere una pioggia scrosciante, ecc. ecc. Tutto ciò genera l’alternanza del piacere e della sofferenza dei sensi del corpo di materia, che porta turbamento della mente e della coscienza. Perciò vivere come se questo mondo fosse immutabile è pura illusione. Quest’illusione ci fa vivere come nella fatuità di un sogno e genera l’oblio che ci copre il nostro vero mondo, quello spirituale, che invece ha una natura di felicità eterna ed immutabile. Il desiderio che ciò che ci procura felicità non finisca mai, nasce proprio dalle nostre esigenze interiori più profonde, che sono proprie dell’anima (che è eterna) e non del corpo di materia. Questo è la prova che il nostro essere è eterno. Ma come si può conciliare l’idea che questo mondo sia fatto con amore dall’Essere Supremo se poi l’essere vivente vi trova la sofferenza? Dimenticare il Signore del nostro cuore porta l’angoscia. Se nel mondo spirituale dove il Signore è perfettamente manifestato (dove tutti sono al Suo cospetto) siamo in beatitudine, mentre nel mondo di materia dove, non essendo Egli direttamente manifesto, è difficile accorgersi della Sua presenza, si soffre, è evidente che siamo qui per realizzare la differenza che c’è nel sentirci lontani da Lui. Questo riportarci alla consapevolezza è amore. Quindi per non esperimentare più la sofferenza l’essere deve giungere alla percezione della relazione d’amore che lo unisce a Dio. La sofferenza nasce dalla concentrazione dell’anima, che è spirituale e eterna, nella condizione del corpo di materia che limita la sua natura di conoscenza, eternità ed amore, proprie dell’essere spirituale, l’anima.
La mente possiede molta creatività, può immaginare infinite forme con cui forgiare la materia, ma poiché queste sono effimere, si dissolvono nel nulla. Le forme che non si dissolvono, sono le forme di natura spirituale. Saper distinguere tra le cose effimere e quelle eterne porta alla liberazione dalla sofferenza e dall’angoscia. È necessario scoprire dunque la nostra essenza eterna e spirituale, di conseguenza la dimensione del nostro mondo eterno, dove non esiste né la paura, né il disaccordo, né l’abbandono, né la separazione. Quando l’essere umano si è liberato dall’attaccamento alla realtà di questo mondo effimero, la sua intelligenza gli permette di scorgere che tutto l’universo è guidato da una potente energia d’amore che gli indica la strada verso il suo vero mondo. Allora emergono con la gioia nel cuore, le qualità dell’anima proprie dell’essenza spirituale. L’intelligenza senza queste qualità non riesce a percepire ciò che si trova al di là del mondo effimero.
È giusto prendersi cura delle nostre esigenze psico-fisiche, perché nell’equilibrio delle funzioni del nostro corpo possiamo avere maggior lucidità per concentrare la coscienza sull’incommensurabile, ma è necessaria nello stesso tempo la meditazione costante (concentrazione della mente) sulla realtà che trascende la materia e che ci permette di ricordare e riscoprire la nostra natura spirituale e di riconnetterci a Dio. A questo punto vediamo che non abbiamo più niente a che fare con la realtà di questo mondo, che dipendiamo completamente dal Suo amore, che ci offrirà tutto ciò di cui abbiamo bisogno o ci toglierà tutto ciò che ci nuoce. Dobbiamo scoprire le nostre vere e più profonde esigenze spirituali perché il nostro cammino su questa Terra abbia il suo reale scopo: ritrovare la nostra vera identità, il sé spirituale e la nostra relazione con Lui. Perché ciò si realizzi, abbiamo bisogno di essere informati sui processi interiori e di come ci si connette a Dio. Questa conoscenza ci aiuta a realizzare che siamo differenti dal nostro corpo di materia.
Molte grandi anime, mahatma, sono scese dal mondo spirituale (avatara), per esempio, Gesù, Buddha, Maometto, Sankaracarya, ecc. per indicare agli uomini la via della verità che riconduce alla purezza della nostra vita, non limitata dal corpo di materia. Quelle vie sono tutte forme di yoga, disciplina delle nostre facoltà superiori. Mettendo costantemente in pratica queste discipline, giungeremo a percepire nella nostra vita come il Signore reciproca con noi con amore. Questo è il segnale che ci fa comprendere come la strada che ci ha ricondotto ad amare il Signore del nostro cuore sia il successo della nostra vita nella materia.
Nandirupaka devi dasi (La scienza della vita, Prefazione, estratto)