“L’amore è una corda, poiché ci lega e ci tiene nel suo giogo”. – Hadwijch, poeta olandese, 1235-1265

Sebbene Egli sia al di fuori della portata di tutti i sensi, sua madre si sforzò di legarlo a un mortaio di legno. Ma quando cercò di legarlo, scoprì che la corda era troppo corta di due pollici.1

Per i devoti di Krishna, questo verso è la chiave di una narrazione immediatamente riconoscibile e popolarmente conosciuta come Damodara-lila. Essa suscita un’ondata di emozioni profondamente dolci e delle riflessioni filosofiche in quanto, nella sua essenza profonda, ci mostra un tesoro di gemme teologiche nascoste in un’affascinante storia che narra vividamente le variegate e amorevoli relazioni tra il Signore Supremo, Krishna, che appare nella Sua forma originale completamente attraente di un sempre giovane pastorello, e Sua madre Yashoda, una delle Sue più care e intime devote del mondo spirituale.

Per il non devoto, la narrazione solleva naturalmente una serie di domande impegnative. Tanto per cominciare, la scena che viene rappresentata sembra troppo ordinaria, troppo prosaica. Come può un resoconto di situazioni domestiche e bucoliche avere qualcosa a che fare con la realtà suprema, la Persona Suprema, la Verità Assoluta? Poi ci si potrebbe naturalmente fare delle domande riguardo un’apparente assurdità: dobbiamo credere che la Divinità Suprema, la fonte e l’origine di tutto ciò che è, abbia una madre? Non è contraddittorio? E perché la madre di Dio dovrebbe cercare di legarlo con delle corde, e figuriamoci il riuscire a farlo? Durante il suo tentativo di legarlo, Egli fugge da lei spaventato. Perché il Signore dovrebbe temere qualcuno? Queste domande sono del tutto logiche, ma solo da un punto di vista disinformato.

Anche una breve familiarità con la teologia vaisnava prepara il lettore a un’emozionante escursione nella vita interiore del Supremo. L’episodio di Damodara dà delle profonde intuizioni, una rivelazione dopo l’altra sulla vita emotiva e psicologica di Dio. E allo stesso tempo fa conoscere anche il carattere, la motivazione e la profonda vita emotiva e psicologica dei Suoi amorevoli devoti. Nel sua cornice di vita di villaggio a Vrindavana, il Damodara-lila introduce il lettore nel regno altrimenti nascosto dell’amore divino, nel quale viene mostrata pienamente la natura esoterica di Dio. E man mano che si svolge il racconto, esso dà al lettore la conoscenza simultanea di come, e precisamente perché, la Persona Suprema ha con chi ama delle relazioni apparentemente mondane che in realtà nutrono pienamente il Suo stesso piacere e deliziano pienamente i Suoi più intimi compagni.

Krishna è Dio, la Persona Suprema, e anche se è la fonte di ogni cosa e l’essere più potente che esista, gli piace avere scambi d’amore “ordinari” con i Suoi cari e nei quali talvolta si sottomette a loro. Questo fa parte della Sua perfezione. Quanto sarebbe noioso o insoddisfacente essere sempre il migliore o il più potente, essere sempre il vincitore in tutte le relazioni con gli altri. Perciò Krishna, nella Sua saggezza, organizza la realtà in modo che possa provare una giocosa sottomissione: Egli permette ai Suoi fedeli e e amorevoli devoti di avere una relazione con Lui al Suo stesso livello, e a volte come Suoi superiori.

Le nostre relazioni nel mondo materiale, ci dicono i saggi, sono riflessi delle relazioni originali del mondo spirituale. Così nel regno di Dio si trovano delle relazioni come quelle di maestro e servitore amorevole (dasya-rasa), la relazione di amicizia, come la si trova tra uguali (sakhya-rasa), le relazioni che includono una dimensione parentale, come quelle di genitore e figlio (vatsalya-rasa) e delle relazioni romantiche o coniugali (madhurya-rasa).

La relazione particolare di Yashoda è quella di madre (vatsalya), e Krishna, perso nell’amore di quella relazione, le permette di svolgerla come farebbe nel mondo materiale. Il suo desiderio di servirlo come sua madre è così totalmente puro che Krishna, per ricambiare il suo amore, interpreta il ruolo di suo figlio per l’eternità. È nel contesto di questa relazione trascendentale che lei tenta di legarlo con una corda e in cui alla fine Egli soddisfa il suo desiderio.

Questa narrazione si trova nello Srimad-Bhagavatam (decimo canto, capitoli 9, 10 e inizio 11), con ulteriori sfumature aggiuntive che sono raccolte dai commentari tradizionali. Altri dettagli si possono trovare in tutti i testi di saggezza dell’India, come il Padma Purana, la Garga-samhita, il Brahma-vaivarta Purana, il Brihad-bhagavatamrita, il Gopala-campu e l’Ananda-vrindavana-campu. E’ anche  significativo il commento di Sanatana Goswami sulla Sri Damodarashtakam, scritta da Satyavrata Muni2 che in generale rappresenta una parte importante del Vaishnavismo dell’India settentrionale e del Vaishnavismo Gaudiya in particolare.

La Damodara-lila risuona anche nel sud dell’India: si trova in tutto il Divya Prabhandam, o le opere raccolte dagli Alvar, i dodici poeti-santi che diedero le basi filosofiche dello Sri Vaishnavismo. Ad esempio, nel Tiruvaymoli 1.3 di Nammalvar, è identificata come un primo esempio di accessibilità divina, in quanto il Signore si lascia legare dalla Sua amorevole devota. Inoltre il titolo dell’unica opera di Maturakavi Alvar, che è in lode del suo guru, Nammalvar, è Kanninun Ciruttampu (“la corda annodata” o, più poeticamente, “la corda di ghirlanda di fiori”), un riferimento alla corda con cui Krishna viene legato. Anche le parole di apertura della poesia si riferiscono alla storia. Chiaramente, la narrazione del Damodara nella tradizione vaisnava è onnipresente, e gode dello status di pan-vaishnava.3

Il Damodara-lila di Madre Yashoda

Damodara, come uno dei tanti nomi di Krishna,4 è riconducibile all’episodio nel quale Yashoda lo legò con una corda (dama) intorno al ventre (udara) quando era un bambino. Damodara significa quindi “avere una corda sull’addome”, così come viene descritto nello Srimad-Bhagavatam (10.9.19): “Poi lo legò con una corda al mortaio, come se fosse un bambino normale”. Ma c’è molto di più di questo nella narrazione.

Prima di riassumere i dettagli fondamentali della storia, è importante comprendere la posizione unica di madre Yashoda, che è glorificata come una delle più grandi devote di Krishna, una delle compagne modello del Signore nel regno eterno di Vraja. Il Bhagavatam (10.9.20) è chiaro: “Né il Signore Brahma, né il Signore Shiva, e nemmeno la dea della fortuna, che è sempre la metà migliore del Signore Supremo, possono ottenere da Dio, la Persona Suprema, il liberatore da questo mondo materiale, la misericordia ricevuta da madre Yashoda”. E Srila Prabhupada, nel commentare questo verso, rende questo ancora più chiaro:

“Questo è uno studio comparativo tra madre Yashoda e altri devoti del Signore. Come affermato in Chaitanya-charitamrita (Adi 5.142), ekale ishvara krishna, ara saba bhritya: l’unico maestro supremo è Krishna, e tutti gli altri sono Suoi servitori. Krishna ha la qualità trascendentale di bhritya-vashyata, diventando subordinato al Suo bhritya, o servitore. Ora, sebbene tutti siano bhritya e sebbene Krishna abbia la qualità di diventare subordinato alla Sua bhritya, la posizione di madre Yashoda è la più grande. Brahma è bhritya, un servitore di Krishna, ed è adi-kavi, il creatore originale di questo universo (tene brahma hrida ya adi-kavaye). Tuttavia, nemmeno lui poté ottenere la misericordia di madre Yashoda. Per quanto riguarda Shiva, che è il Vaishnava più elevato (vaishnavanam yatha shambhuh). Che dire del Signore Brahma e del Signore Shiva, la dea della fortuna, Lakshmi, è la costante compagna che serve il Signore, poiché si associa sempre al Suo corpo. Ma nemmeno lei poteva ottenere tale pietà. Perciò Maharaja Parikshit fu sorpreso, pensando:

Cosa hanno fatto madre Yashoda e Nanda Maharaja nelle loro vite precedenti grazie alla quale hanno avuto una così grande opportunità, l’opportunità di essere il padre e la madre affettuosi di Krishna?

La vicinanza di Yashoda a Dio è raramente esposta così chiaramente come nel Damodara-lila. In verità, a pochi sarebbe permesso di dominare nelle loro relazioni con Krishna come fa lei quando Lo lega con le sue corde d’amore.

E ora ecco un riassunto della storia di base da fonti già citate

Il piccolo Krishna desidera avere fare qualcosa con Yashoda impegnandosi in giochi infantili, spesso al punto da essere distruttivi. Mentre era in quello stato d’animo, a volte saccheggiava le scorte di burro, rompeva delle pentole e ne distribuiva il contenuto ai Suoi amici e compagni di gioco, comprese le celebri scimmie di Vrindavana. In una di queste occasioni, madre Yashoda, per voler proteggere il suo divino figlio e impedirgli di causare ulteriori danni, prende una corda e minaccia di legarlo a un grande mortaio di legno. Vedendo la corda nelle mani di sua madre, Krishna inizia a piangere come un comune bambino, con le lacrime che gli rigano le guance. Questo rende i suoi occhi carichi di mascara più belli che mai. Yashoda si rende presto conto che la corda non è abbastanza lunga per legarlo, e così ne raccoglie ancora dalle altre stanze di casa. Si stanca molto per trovare vari tipi di corde, ma per quanto ne prenda, le corde unite insieme sono sempre troppo corte per legarlo.

Le gopi vicine cercano di aiutarla. Una donna porta un lungo pezzo di corda, ma in qualche modo, ancora una volta è troppo corto. E un’altra ne porta ancora di più. Legano ogni pezzo al successivo, ma ancora non funziona. “È decisamente mistico”, pensano. Non importa quante corde portino, mancano sempre due pollici. Sembra che finché non vorrà essere legato, rimarrà libero.

Sua madre giunge alla fine delle sue forze, ma non della sua corda. Deve ammettere la sconfitta e soccombe a uno sfinimento totale. La sua devozione incrollabile, accompagnata dal suo intenso sforzo, è visto con affetto. Vedendo lo sforzo quasi implacabile di Sua madre, Krishna alla fine acconsente e lei riesce a legarlo. In qualche modo, quello che prima non era possibile, ora è stato facilmente realizzabile.

Per quanto riguarda la versione che si trova nel decimo canto del Bhagavatam, gli ultimi due versi del capitolo nove seguono nel capitolo dieci: Krishna ora è legato al mortaio, ma il suo muoversi nel cortile, presto assumerà nuove proporzioni. Vede due alberi gemelli, che in realtà sa di essere due yaksha (assistenti di Kuvera, che è il tesoriere degli esseri celesti). Erano stati maledetti dal saggio Narada a incarnarsi come alberi, il che già per sé sarebbe un’altra lunga storia.

Il capitolo dieci inizia spiegando la storia degli yaksha e di come siano stati maledetti. Questo include le parole narrate in quindici versi di Narada sul loro comportamento scorretto, e spiega la ragione della loro situazione attuale. Dopo questo vediamo Krishna che corre attraverso il cortile, trascinando il mortaio dietro di Sé, in quanto è ancora legato alla Sua vita. Si fa strada tra i due alberi, infilandosi tra di loro. Mentre continua a muoversi, li sradica e gli yaksha vengono liberati.L’intero episodio del Suo essere legato al mortaio, quindi ha un ulteriore significato perché il pesante mortaio di legno ha aiutato il Signore a sradicare gli alberi, liberando così gli yaksha.5 Questo momento è seguito da una preghiera enunciata in dieci versi rivolta a Krishna. Gli yaksha si sono pentiti, come si evince dalle loro parole. Il capitolo 11 completa la narrazione descrivendo Nanda che scioglie le corde e di come l’accaduto venga visto dai pastori vicini.

Sebbene nel Damodara-lila sia Yashoda che lega Krishna con le corde dell’amore (niryoga-pasha), di solito è il contrario: è Krishna che generalmente lega i Suoi devoti con amore, ma in questo caso voleva essere legato per provare pienamente l’affetto materno di sua madre (vatsalya-prema-pasha).6

Due pollici troppo corti

La ragione dei “due pollici mancanti” non è arbitraria. C’è un insegnamento profondo al centro di questa “dimensione” della storia, e risale agli inizi della tradizione Gaudiya. Molti dei primi insegnanti identificano questi due pollici con “la fede e le opere” o “la grazia e lo sforzo.” L’idea che prima di poter “legare” Dio, o legare Krishna con delle corde dell’amore, bisogna assicurarsi la Sua misericordia e fare del proprio meglio per servirlo, come ha fatto Yashoda.

Nel sedicesimo secolo, Srinatha Chakravarti, conosciuto come il guru di Kavi Karnapura, uno dei celebri compagni di Sri Chaitanya, offre la spiegazione della “grazia e dello sforzo” nel suo Chaitanya-mata-manjusha (10.9.15, o in alcune edizioni 10.9.15 –17). Questo libro è storicamente importante perché è probabilmente il primo commento Gaudiya sullo Srimad-Bhagavatam.

Srila Jiva Goswami fa eco a questa comprensione della grazia e la esprime in entrambi i suoi commentari al Bhagavatam: il Krama-sandarbha (10.9.18) e il Laghu-vaishnava-toshani (10.9.15). Quando fa chiarezza riguardo i due pollici mancanti della corda di Yashoda, ripete alla lettera Srinatha Chakravarti: “Egli [Krishna] è legato da due fattori: lo sforzo del devoto e la Sua stessa misericordia”.

Il punto di vista è ribadito ancora una volta da Vishvanatha Chakravarti Thakura, il commentatore  per eccellenza del Bhagavatam, quando illumina il testo in questione (10.9.18):

Poiché non riesce a legargli la vita anche con tutte le corde della casa, allora si deve concludere che è una sua fortuna che ciò non avvenga. Ascolta Yashoda, rinuncia a questo tentativo!

Sebbene le donne del villaggio consigliassero in questo modo, Yashoda insisteva.

Anche se arriva la sera e lego insieme le corde di tutto il villaggio, devo veramente scoprire la misura della vita di mio figlio.

Se Yashoda, con il desiderio di fare del bene a suo figlio ed essendo determinata, non rinuncia al suo tentativo di legare il Signore, allora tra il Signore e il devoto prevale la determinazione del devoto. Così, vedendo sua madre stancarsi, il Signore rinunciò alla propria caparbietà e per sua misericordia si lasciò legare. La sua misericordia è il re di tutte le shakti, che illumina tutto il resto e scioglie il cuore del Signore come se fosse burro. L’apparizione della misericordia fece scomparire improvvisamente il satya sankalpa e la vibhuta shakti. Le due dita di corda mancanti sono state colmate dallo sforzo (parishrama) e dalla misericordia (kripa). Lo sforzo e la fatica dovuti al servizio e all’adorazione (la fede salda del devoto – bhakta nishtha), e la misericordia del Signore che sorge nel vedere quello sforzo e la fatica (la qualità costante nel Signore – sva nishtha) queste due caratteristiche hanno fatto in modo che il Signore si sia fatto legare. Finché questi due fattori non ci sono, la corda rimane troppo corta di due dita. Quando ci sono, il Signore viene legato. Il Signore stesso ha mostrato a sua madre come solo l’amore può legarlo. Questo è quello che illustra il passatempo. (Traduzione di Gopiparanadhana Dasa.)

Giriraja Swami, una delle guide della ISKCON e portavoce della Gaudiya Vaishnava sampradaya, scrive nel suo saggio Damodara-lila: Opere e Grazia:

Ora, se osserviamo da vicino la vita del devoto, certo, alla fine il devoto viene salvato dalla grazia del Signore, ma il devoto fa comunque ogni sforzo per servire il Signore, e allora la misericordia del Signore gli permette di legare il Signore, e il Signore si sottomette al puro amore del devoto. Quindi se qualcuno, come si dice, pensa di poter espugnare le porte del paradiso o di raggiungere Dio con i propri sforzi, fa un errore. Ma anche se qualcuno dice: “Bene, allora mi siederò e pregherò Dio di liberarmi, e non farò alcuno sforzo”, anche questo non è esatto.

Abbiamo bisogno di entrambe le cose: parishama [lo sforzo intenso] e krishna-kripa [la misericordia del Signore].7

La dottrina di fede e di opere non è esclusiva del Gaudiya Vaishnavismo. Oltre alle sue dimensioni cristiane, di cui parleremo tra poco, anche i Vaishnava dell’India meridionale, conosciuti come Sri Sampradaya, o tradizione Ramanuja, l’hanno esplorata, sottolineando un dilemma filosofico che ha portato ad avere due opinioni.

Il ramo Vatakalai, sostenuto da Vedanta Deshika (1268–1368), insegna che la salvezza o la resa di sé avviene quando c’è sia la grazia divina che lo sforzo umano, ma pone un’enfasi speciale sullo sforzo. Questo sforzo, dice Deshika, è paragonabile a una mamma scimmia che trasporta il suo piccolo. La mamma fa la maggior parte del lavoro, ma anche il cucciolo deve prendere qualche iniziativa per rimanere attaccato alla madre, tenendo le sue braccia intorno al collo della mamma. D’altra parte, la scuola Tenkalai, rappresentata da Pillai Lokacharya (1264–1369), afferma che solo la grazia di Dio salva l’anima, proprio come una gatta trasporta il suo gattino: il gattino è praticamente passivo, essendo sostenuto dalla bocca di sua madre e non esercitando alcuno sforzo.8

I Vatakalai e i Tenkalai apprezzano sia le opere che la fede, ma le due scuole hanno costruito interi sistemi filosofici secondo le loro particolari visioni. Lo stesso dilemma esiste nel cristianesimo, dove la preoccupazione è come i fedeli possano essere salvati dai peccati, e andare in paradiso dopo la morte. I primi teologi cristiani ritenevano che ci si qualifica per la salvezza grazie alle buone azioni e osservando i sacramenti e i riti, in definitiva essendo obbedienti ai precetti della Chiesa. Martin Lutero (1484–1546), tuttavia sostenne che raggiungiamo la salvezza semplicemente grazie alla fede in Dio. Questo naturalmente, ha dato origine a una posizione dogmatica molto popolare oggi tra certi gruppi cristiani; la semplice fede in Gesù è sufficiente per avere la salvezza.

Le citazioni scritturali usate da entrambe le parti sono molte, ma si riducono a quanto segue. Da una parte si dice: «Per grazia siete salvati mediante la fede; e quello non dipende da voi: è il dono di Dio». (Efesini 2:8) Eppure: “La fede senza le opere è morta . . .” (Giacomo 2:26). Così il cristianesimo moderno ha la sua versione della dicotomia Vatakalai/Tenkalai. Ma alla fine la maggior parte dei cristiani e dei vaisnava sono d’accordo: la fede non esiste se non si manifesta nelle opere, anche se comunque si deve ottenere la grazia di Dio per raggiungere la perfezione spirituale.9

Ci si potrebbe chiedere come tutto questo si applichi alla Damodara-lila. L’azione devozionale (bhakti-seva) si manifesta nel processo di adorazione. Le attività che avvicinano a Dio, come quella di madre Yashoda che fa ogni sforzo per legare il piccolo Damodara, costituiscono lo sforzo necessario per ricevere la misericordia di Dio. Questo è indicato come costanza nell’adorazione (bhakta-nistha bhajanottha). La potenza spirituale generata da tali “opere” costituisce il primo centimetro mancante della corda di Damodara.

Il secondo è spesso una conseguenza del primo. Vale a dire, la misericordia di Krishna, generalmente evocata quando vede lo sforzo incessante del Suo devoto (darshanottha svanishtha kripa), accompagna il praticante per il resto del cammino. Lo sforzo di Yashoda non è stato sufficiente, anche se lei aveva dato tutto quello che aveva. Alla fine è stata la misericordia di Krishna che le ha permesso di legarlo. Si dovrebbe anche comprendere che mentre lo sforzo è un percorso affidabile per ottenere la grazia del Signore, alla fine tutto dipende interamente da Lui. Krishna è indipendente (svarat) e la Sua grazia si manifesta secondo la Sua dolce (e talvolta imprevedibile) volontà.

Ecco l’esposizione di Bhanu Swami, studioso di sanscrito della ISKCON:

“È il bhakta-nishtha, la ferma fede del devoto, mostrata nel suo instancabile sforzo di adorare il Signore, e lo sva-nishtha, la fermezza del Signore nel concedere la Sua misericordia quando vede lo sforzo e la fatica del devoto, che ha fatto sì che Krishna fosse legato. In assenza di questi due fattori, la corda sarebbe rimasta di due dita troppo corta. Ma quando bhakta-nishtha e sva-nishtha sono presenti, il Signore può essere legato. In questo passatempo, Krishna mostrò a Yashoda e al mondo intero che solo l’amore può legare il Signore Supremo.”10

Le corde dell’amore di Sri Radha

Ci si potrebbe chiedere come lo Yashoda-Damodara-lila si colleghi a Sri Radha, o al Divino Femminile. Dopotutto, le famose divinità di Radha-Damodara a Vrindavan e Jaipur (e altrove) sono forme di “Radha”-Damodara, non di “Yashoda”-Damodara. In effetti, l’attenzione su Radha parte della predilezione fondamentale della tradizione Gaudiya, che è radha-dasyam. Vale a dire, l’amore per Krishna è eclissato dall’amore per Radha. Va notato che Ella è considerata la manifestazione femminile di Dio, l’altra metà di Krishna, tanto quanto è la Sua più grande devota e hladini-shakti, la Sua potenza originale di piacere interiore. La stessa esistenza di Krishna, dicono i grandi maestri Gaudiya, ha poco significato senza di Lei. Essi si chiedono: qual è il valore del sole, senza sole?

Di conseguenza, l’ottavo e culminante verso del famoso Damodarashtakam di Satyavrata Muni potrebbe servire da ponte dello Yashoda-Damodara-lila, che è il tema dell’intero inno, a Radha-Damodara, collegando sottilmente Sri Radha al Damodara-lila.

O Damodara, offro i miei rispettosi omaggi alla celebre corda che lega il tuo addome, perché è una dimora di brillante splendore. Offro i miei rispettosi omaggi al Tuo addome, che sostiene l’intero universo di esseri mobili e immobili. Offro i miei rispettosi omaggi ancora e ancora a Srimati Radhika, la Tua più amata, e offro i miei rispettosi omaggi a Te, mio ​​divino Signore che compi illimitati passatempi trascendentali.

In effetti, esistono molte poesie Gaudiya che creano dei suggestivi collegamenti con Sri Radha riguardo il Damodara-lila. Per esempio, nello Sri Radha-rasa-sudha-nidhi (testo 174), Prabodhananda Sarasvati parla di Radha e Krishna come “legati [l’uno all’altro] con il nodo dell’amore profondo”. Egli scrive inoltre che Sri Radha “soggioga e lega Krishna, che è come un elefante, come il suo animale domestico indifeso, solo in virtù dei suoi sguardi giocosamente amorosi” (testo 188).11 Ma la figura di Sri Radha nel Damodara-lila va oltre il tema figurativo.

La sua connessione più evidente con esso si trova nell’Uttara-kanda del Bhavishya Purana:

Una volta, nel mese propizio di Kartika,12 Krishna arrivò tardi per un appuntamento con Radharani nel Suo kunja [pergolato]. Con un’amorosa collera, Sri Radha guardò Krishna in modo accigliato. Poi, usando alcune rami di vite dorata, legò una corda intorno all’addome di Sri Krishna per punirlo di non essersi presentato come aveva promesso. Krishna disse che era in ritardo perché madre Yashoda lo aveva tenuto a casa per una festa. Vedendo il Suo errore, Radha sciolse rapidamente il Suo amato Damodara.13

Così il passatempo di madre Yashoda di legare Krishna con il suo amore (vatsalya-bhava) ha un parallelo nello scambio coniugale (madhurya-bhava) di Radha e Krishna, e in questo modo i Gaudiya Vaishnava hanno a cuore una dimensione esoterica dell’episodio di Damodara.14

Infatti, secondo Jiva Goswami, lo scambio con Sri Radha è il prototipo dello scambio con Yashoda:

Quel giorno (nel mondo spirituale, prima di Govardhana-puja) Bhagavan andò a tarda notte per incontrare Sri Radha nella sua casa. [Dal momento che era in ritardo], lei si incollerì e lo legò con la sua cintura d’oro. Krishna la implorò e raccontò tutto della grande festa a casa Sua (che aveva causato il Suo arrivare tardi). Così la placò e lei lo liberò.

Allora Krishna, soddisfatto nella mente, le disse:

La cintura d’oro che mi hai offerto intorno al mio addome mi farà conoscere come Damodara. Non c’è per Me un nome più caro in tutti i mondi. Coloro che cantano questo nome otterranno sempre tutte le perfezioni. Avendo ottenuto il dono più raro della Mia bhakti, raggiungeranno la Mia dimora.

Cara Radha! Manifesterò questo passatempo nel mondo materiale quando sarò legato da Mia madre a un mortaio usando varie corde.

La tradizione di Vraja rivela inoltre che le gopi a volte si siedono vicino a madre Yashoda solo per sentirla cantare le glorie di Krishna. In quei momenti, Radharani in particolare, ascolta attentamente, proprio quando Yashoda narra il passatempo di Damodara. Avvolta nello stato d’animo di resa di Damodara quando acconsente all’amore di madre Yashoda, Sri Radha prova un profondo affetto, ricordandosi quando anche lei è stata in grado di legarlo in quel modo (come viene descritto sopra da Jiva Goswami). Inoltre desidera ancora una volta legare Krishna con il Suo amore, decidendo di fare tutto quello che potrebbe essere necessario per conquistare il Suo affetto. La nozione di “Radha-Damodara”, quindi, si riferisce allo stato d’animo di intensa attrazione di Radharani per questa totalità di affetto amorevole, e come sia stato raggiunto da madre Yashoda.

Per evidenziare questo stato d’animo, Radhika esegue persino il Katyayani-vrata nel mese di Kartika, onorando una serie di voti solitamente eseguiti dalle donne che desiderano un particolare marito.15 Naturalmente, Lei non ha bisogno di pregare per avere una maggiore intimità con Krishna, ma nella Sua umiltà, e nella sua disperazione di fare qualsiasi cosa per essere vicina al Signore della sua vita, dice le preghiere appropriate e si sottopone alle regolari austerità solo per consolidare il suo scambio d’amore. Ancora oggi, durante Kartika, i sacerdoti del tempio di Radha-Damodara a Vrindavana legano una corda d’oro dalla vita di Radha all’addome di Krishna, indicando la dimensione esoterica del Damodara-lila e il profondo amore che esiste tra Radha e Krishna.

Satyaraja Dasa

Note

1. Vedi A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, Krishna, capitolo 9 (Bhaktivedanta Book Trust, 2008, ristampa). Alcune traduzioni della storia di Damodara si riferiscono ai due pollici come a “due dita” e Prabhupada, in vari casi, fa lo stesso. Nell’antica India, per determinare la lunghezza e la larghezza si usavano piccole misure di lunghezza come un angula (dito) o un mutthi (pugno). In effetti, si può trovare l’equivalente approssimativo di un pollice misurando dalla nocca superiore del pollice alla punta del pollice. Due di questi, ovviamente, costituiranno due pollici. La “cifra” è a volte indicata come dito o ampiezza del dito perché era originariamente basata sulle dimensioni di un dito umano.

2. Il Damodarashtakam è un famoso stotra sanscrito attribuito al Padma Purana e originariamente scritto da Satyavrata Muni.

3. Importanti rivisitazioni moderne dell’intero Damodara-lila in inglese includono: Shivarama Swami, Sri Damodara Janani, Krishna nella serie Vrindavana Vol. 4 (Budapest: Lal Publishing, 2016); B. G. Narasingha Maharaja, ed., Sri Damodara Katha (Vrindavan: Gosai Publishers, 2008); Sri Srimad Bhaktivedanta Narayana Goswami Maharaja, Damodara-Lila-Madhuri, Volume One (Singapore e Kuala Lumpur: Pubblicazioni Sri Chaitanya-Mudrani, 1999); Vaiyasaki dasa Adhikari, Sri-Sri Radha-Damodara Vilasa (La vita interiore di Vishnujana Swami e Jayananda Prabhu): Volume One 1967-1972 (Vrindavan: Ras Bihari Lal and Sons; 2009, ristampa; stampa originale, 1999); Mahanidhi Swami, Prabhupada a Radha Damodara (India, n.p., 1990); Gour Govinda Swami Maharaja, capitolo 4, “Legato dall’amore“, in Mathura Meets Vrindavan (Bhubaneswar, Odisha: Gopal Jiu Publications, 2003); e Shubha Vilas, Due dita corte (Mumbai: Tulsi Books, 2015). Il commento di Vallabhacharya sullo Srimad-Bhagavatam è disponibile in un’edizione inglese con l’intero Damodara-lila in un volume separato: Sri Subodhini: Commentary On Srimad Bhagavata Purana, Text and English Translation, Canto Ten Chapters 9 to 11 (Delhi: Sri Satguru Publications; 2003).

4. “Damodara” ricorre come nome 367 nel Vishnu-sahasra-nama (Mille nomi di Vishnu).

5. Quando gli alberi furono sradicati, emersero le forme di Nalakuvara e Manigriva, gli yaksha in questione, che offrivano preghiere al Signore. Ricevendo la benedizione di Krishna, tornarono nella loro precedente posizione divina. Solo Krishna e alcuni bambini vicini li videro, e quando arrivarono gli anziani, furono stupiti di come il bambino divino potesse abbattere due grandi alberi, anche con un pesante mortaio macinato. La condizione degli yaksha come alberi era ormai un ricordo del passato e Krishna tornò alle sue solite imprese a Vrindavana, giocando con i Suoi amici e scambiando passatempi d’amore con i Suoi molti devoti. Il termine niryoga-pasha è interessante: a Vrindavana c’è un metodo per mungere le mucche in cui le loro gambe sono legate per proteggerle da reazioni eccessive e ferirsi durante la procedura. Seguendo questa tecnica, quando Krishna munge le sue mucche, a volte lega le loro zampe posteriori con una corda ornamentale, che tiene sulle Sue spalle o mette nel Suo turbante quando le Sue mani non sono libere.

6. La corda si chiama niryoga-pasha. Simbolicamente, si dice che questa corda rappresenti le corde dell’amore con cui Krishna lega i Suoi devoti.

7. Vedere Giriraj Swami, Damodara-lila: Works and Grace: (http://www.girirajswami.com/?p=4949)

8. Vedi Conciliare fede e opere: a chi è data la grazia di Dio? in The Agni and the Ecstasy: The Collected Essays of Steven J. Rosen (Satyaraja Dasa) (London: Arktos, 2012), 86-88.

9. Ibid.

10. Short by Two Fingers: il commento Sarartha Darshini di Srila Vishvanatha Chakravarti Thakura sullo Srimad-Bhagavatam 10.9.18, tradotto da Bhanu Swami (tratto da http://www.granthamandira.com) e pubblicato anche in Sri Krishna Katharita Bindu, n. 263 (novembre 2011).

11. Vedi Sri Radha-rasa-sudha-nidhi 174 e 188.

12. Il mese di Kartika – noto anche come mese di Damodara, che corrisponde al periodo compreso tra metà ottobre e metà novembre – è spiegato nell’Hari-bhakti-vilasa di Gopala Bhatta Gosvami (capitolo 16). Per i dedicati Vaishnava, il testo raccomanda che durante questo mese è particolarmente efficace recitare il Damodarashtakam. Anche le austerità e i voti enunciati in questo testo sono considerati di grande buon augurio durante questo mese. Il nome Kartika deriva da quello della madre di Radharani, il cui nome è Kirtika (o Kirtida). Radharani divenne così noto come Kartiki, che significa “nata da Kirtika”. All’inizio del suo Dig-darshini-tika su Sri Damodarashtakam, Srila Sanatana Goswami include il seguente verso come suo mangalacaranam, evidenziando la connessione di Sri Radha con il Damodara-lila: “Inchinandosi davanti a Sri Damodara-ishvara, che è accompagnato da Sri Radha, comincio ora il mio commentario sullo Sri Damodarashtakam intitolato Dig-darshini”. Allo stesso modo, chiude il suo commento sull’ultimo verso (16.206) come segue: “Tutto quello che ho lo offro a te, Srimad Damodara, Signore della vita di Sri Radha, e lo offro anche a Caitanya-deva e al mio guru.”

13. L’Uttara-kanda è talvolta pubblicato come un libro separato noto come Bhavishyottara Purana. Questo verso è citato nel commento al Krishna-karnamrita di Srila Krishnadasa Kaviraja Goswami, verso 110. La traduzione in inglese è di Mahanidhi Swami, Radha Kunda Mahima Madhuri (Vrindavan: Ras Bihari Lal and Sons, 2009), 50. Jiva Goswami ripete la storia nel suo Priti-sandarbha (Anuccheda 367). Ci sono numerosi accenni al Damodara-lila di Radhika in tutti i testi di saggezza dell’India. Un altro esempio si trova nel Narada-pancaratra (capitolo cinque), in una sezione chiamata Sri Radha Sahasra-nama. Lì apprendiamo che tra i molti nomi di Sri Radha ci sono Damodara-priya (“cara a Damodara”) e Srinkhala (“il ceppo che lega Krishna”). Entrambi alludono all’aspetto madhurya del Damodara-lila.

14. Jiva Goswami, Sri Radha-krishnarcana-dipika, testi 121-126, tradotti da Hari Parshad Das. Pubblicato in Sri Krishna Kathamrita Bindu, n. 263 (novembre 2011).

15. A volte viene suggerito che Radha e le gopi adorassero Katyayani nel modo consueto, vedendola come una manifestazione di Durga, o Devi, la dea del mondo materiale. Anche se è vero che a volte adoravano sia Shiva che la dea per il bene del loro servizio a Krishna, non vedevano queste divinità nel modo consueto: Il Bhagavatam (12.13.16) dice: “Il Signore Shiva è il migliore di tutti devoti” (vaishnavanam yatha shambhuh), ed è così che le gopi lo vedevano – non come Dio ma come il più grande tra i Vaishnava. Allo stesso modo, poiché adoravano Katyayani, o Durga, con l’intenzione di ottenere il favore di Krishna e non per benefici materiali, comprendevano la dea come un’incarnazione di Yogamaya. Così Radha e le gopi adorarono Yogamaya per ottenere Krishna come loro marito. (Vedi Chaitanya-charitamrita, Madhya 8.90 e Madhya 9.360, spiegazione)