Stavo sfrecciando lungo una bellissima strada alberata quando ho frenato di colpo. Uno stridio! Poi un colpo! Generalmente, se investiamo uno scoiattolo che attraversa la strada troppo tardi per fermarsi, abbiamo una sensazione di dispiacere. A meno che non abbiamo un cuore di pietra, i minuti successivi non sono piacevoli. Il senso di colpa per aver tolto una vita rimane finché non viene sostituito da cose più importanti. Ma questa volta non sono stato preso dal rimorso; non avevo appena investito uno scoiattolo, ma una pietra. Le pietre per definizione sono già morte. Morto come una pietra.
Una vita da pietra
Supponiamo per un momento che questa pietra abbia vita. Ha ancora tutte le caratteristiche di una pietra, ma ora sa di esistere. Non importa quanti camion scelgano di passarle sopra, non sente nessun dolore. Dopo tutto, è solo una pietra. E proprio come una pietra, non prova della gioia quando sta arrivando la primavera. Non è forse uno stato di esistenza molto ambito? Certo, non c’è l’euforia della vita, ma non è un cattivo prezzo da pagare per sfuggire all’atrocità di essere schiacciati dagli anonimi pneumatici di un anonimo camion. Sì, la pietra è felice di essere viva!
Un momento! C’è qualcosa che non funziona. Stiamo dicendo che la vita di una pietra è migliore della nostra? Supponiamo che voi apriate il vostro cuore a qualcuno: “Ho un problema. Perché sto soffrendo così?” e che vi risponda: “Perché non sei morto.” Questa non è una risposta che riempirà il vostro cuore di felicità. Né una risposta così sincera vi aiuterà. Ma ci sono molti filosofi che lo dicono, forse non in modo così schietto, ma è praticamente l’essenza della loro filosofia. Stai soffrendo, sì. La sofferenza è causata dai tuoi desideri. Metti fine ai tuoi desideri; non rallegrarti di nulla e non lamentarti di nulla. Quello che in realtà stanno suggerendo, è che in definitiva (non immediatamente) devi sviluppare le caratteristiche di una pietra.
Questa filosofia si chiama impersonalismo e ha molti aspetti, tutti con un tema centrale: in definitiva, la verità più alta, l’origine di tutto, è un’unità indifferenziata. Quindi siccome la verità suprema è un’unità priva di qualità, raggiungere la verità suprema consiste nell’unirsi a quell’unità. Una volta unite, tutte le dualità scompaiono, quindi non c’è felicità o dolore, piacere o dolore, nessun bene, nessun male, nessuna sensazione. Tutto questo assomiglia molto alla nostra amica, la signora Pietra. E per di più, in quello stato di fusione, tutta l’individualità si perde nella fusione.
Perché l’impersonalismo è così popolare?
Pensiamoci per un momento. Chi si affezionerà veramente a una filosofia il cui obiettivo finale è la negazione di tutto quello che caratterizza la vita? La risposta immediata che mi viene in mente è qualcuno che è così totalmente frustrato che la sua vita è diventata insopportabile. Per loro, la fuga filosofica verso un’unicità informe suona come un sollievo. Non importa nemmeno la concomitante rinuncia al piacere, dal momento che non hanno molto di cui rallegrarsi nella vita.
Le altre persone che tendono ad accettare questa filosofia sono quelle che comprendono la natura miserabile e temporanea di questo mondo. Poiché la loro comprensione si basa su una solida comprensione filosofica della temporaneità di tutte le cose in questo mondo, scelgono di non far parte di nulla e di cercare di non avere desideri.
Quindi, certo, le persone hanno delle valide ragioni per accettare la filosofia impersonalista. Ma se dovessi scrivere un saggio sul giorno più felice della mia vita, dubito che sarò in grado di glorificare un giorno che ho passato senza fare nulla, senza pensare a nulla, senza sentire nulla e senza nessuno intorno. Immagino invece che parlerò di una giornata trascorsa nella natura o a stare con degli amici. Noi vogliamo essere pieni di gioia.
Perché allora la filosofia impersonale è così preminente nel mondo? Perché la maggior parte delle persone non riesce quasi mai a vivere il “giorno più felice della propria vita”. Quindi, per rendere tutti i loro giorni “più felici”, ridefiniscono la felicità come unità, persino come un senso di nulla, qualcosa che realizzeranno in futuro. La felicità diventa l’assenza di dolore, e dal momento che non possiamo avere la felicità mondana senza la sua controparte, l’infelicità mondana, sono disposti a rinunciare a ciò che normalmente considererebbero gioia per evitare la sofferenza.
Ma se potessimo vivere quel “giorno più felice” per sempre? Sceglieremmo ancora il non-sentimento? E se vivessimo in un luogo dove ogni passo è una danza e ogni parola una canto? Un luogo dove non solo non c’è dolore ma dove abbonda la felicità? Quale persona sana di mente rifiuterebbe un posto del genere e sceglierebbe un’esistenza vuota e priva di qualsiasi cosa?
Oltre l’impersonalismo
La domanda decisiva è se esiste un luogo dove c’è una sconfinata felicità. Sì. Quel luogo si chiama mondo spirituale, il regno di Dio, un luogo pieno di vita e di gioia, dove tutti gli abitanti si dedicano sempre nell’amorevole servizio a Dio e di conseguenza sono completamente felici. La differenza essenziale tra questo mondo e il mondo spirituale è che tutto nel mondo spirituale è eterno, pieno di conoscenza e di gioia. Dalla nostra esperienza di questo mondo sappiamo che qui è esattamente l’opposto: tutto prima o poi finisce, è incosciente e pieno di sofferenza. Inoltre, l’unità che gli impersonalisti sperano di raggiungere è semplicemente la luce del cielo spirituale invece che il mondo spirituale stesso. Chiunque sia convinto dell’esistenza del mondo spirituale sceglierà naturalmente di andarci.
Quei filosofi che scelgono il mondo spirituale sono conosciuti come devoti di Dio. Servendo Dio, i devoti provano la beatitudine spirituale anche in questo mondo. Non devono cercare di diventare senza desideri perché tutti i loro desideri sono concentrati a servire Dio, e questo porta loro gioia e nessun dolore. Confrontate questo con la comprensione degli impersonalisti dell’assenza di desideri, nessun desiderio. Gli impersonalisti non sanno che il regno spirituale di Dio esiste al di là dell’unità del cielo spirituale. Così si accontentano del livello inferiore della felicità che è definita come “assenza di dolore.”
Il nostro viaggio è iniziato con una pietra inerte. Poi abbiamo vagato nel nulla con la nostra immaginaria Sig.ra Pietra. Fortunatamente abbiamo attraversato quell’unicità informe e siamo arrivati dove volevamo davvero essere: il mondo spirituale.
Abhijit Tolley
(Dalla rivista Back to Godhead )