Una vecchia leggenda indù racconta: “Vi fu un tempo in cui tutti gli uomini erano dèi. Essi però abusarono talmente del loro stato di divinità, che Brahma – signore degli dèi – decise di privarli del potere divino e di nasconderlo in un posto dove fosse impossibile trovarlo. Il grande problema fu quello di trovare un nascondiglio adeguato.
Quando gli dèi minori furono riuniti a consiglio per risolvere questo dilemma, proposero la seguente soluzione: ‘Seppelliamo la divinità dell’uomo nella Terra.’
Brahma rispose: ‘No, non basta, perché l’uomo scaverà e la troverà.’
Gli dèi, allora, proposero un’altra soluzione: ‘Gettiamo la divinità nel più profondo degli oceani.’
E di nuovo Brahma rispose: ‘No, perché prima o poi l’uomo esplorerà le profondità di tutti gli oceani, e sicuramente un giorno la troverà e la riporterà in superficie.’
Gli dèi minori allora conclusero: ‘Non sappiamo dove nasconderla, perché non sembra esistere – sulla terra o in mare – luogo alcuno che l’uomo non possa raggiungere.’
E fu così che Brahma, illuminato, disse: ‘Ecco ciò che faremo della divinità dell’uomo: la nasconderemo nel suo io più profondo e segreto, perché è il solo posto dove non gli verrà mai in mente di cercarla.’
A partire da quel tempo – conclude la leggenda – l’uomo ha compiuto più volte il giro della terra, ha esplorato, scalato, scavato e si è immerso nei mari, alla ricerca di qualcosa che si trova solo dentro di lui.”
Così accadeva nell’antichità. Oggi si cerca diversamente ma si cerca la stessa cosa. Le sonde e i telescopi non arriveranno mai a scoprire ciò che è dentro di noi. Rimane vana anche la speranza di trovare qualcosa in futuro.
La suggestiva visione che il Creato offre soprattutto di notte, così densa di fascino e di mistero, non dev’essere oggetto solo di meraviglia. Sebbene piccolo il nostro pianeta ospita la più straordinaria varietà di specie viventi, al momento conosciuta, e noi stessi ne facciamo parte. Sorprende la varietà in esso contenuta: mari, laghi, montagne, la luce del sole, la luna e le stelle, l’azzurro del cielo; ma soprattutto noi, la nostra esistenza, la nostra eccezionale testimonianza di vita, i nostri sogni, le nostre speranze, le nostre ambizioni. Senza la nostra testimonianza, chi potrebbe affermare che tutto quello che si vede: il creato, il nostro pianeta e tutto il resto esiste davvero? Ecco perché è importante questo nostro piccolo mondo. La sua fiammella di vita – dicono gli scienziati – potrebbe essere l’unica in tutto l’universo, a maggior ragione non dovremmo subire questo senso d’inferiorità! La nostra esistenza non è meno straordinaria del Creato che ci ospita: fantasticare sulle costellazioni non ci aiuta, sono suggestive ma non sono la nostra meta.
Concentriamoci allora sulle cose rilevanti che ci riguardano. Non possiamo farle passare inosservate, e non dobbiamo accontentarci di quello che ci dice la scienza: “ci arriveremo… scopriremo… risolveremo… sapremo…” Tutto al futuro! Ma il futuro è questo e non sappiamo niente di niente, navighiamo ancora nell’ignoranza più assoluta. Non sappiamo se Dio esiste o no e non sappiamo se quello che vediamo è opera sua oppure no. Siamo informatissimi sul gossip dei nostri idoli ma navighiamo nella più profonda ignoranza sui temi che riguardano la nostra esistenza. E questo perché non siamo assolutamente in grado di spiegare queste rilevantissime cose che ci riguardano. Il tempo poi a metterci fretta. I pochi anni a disposizione passano: saranno settanta? Saranno ottanta? Ne sono passati miliardi e noi facciamo affidamento solo su questa piccola frazione. Tutti i nostri progetti sono di vivere questi pochi anni al meglio delle nostre possibilità. La nostra felicità consiste nel non imbatterci in qualche guaio e in qualche sofferenza. Se cade un aereo, se qualcuno muore sepolto dalle macerie di un terremoto, pur rimanendo dispiaciuti per le vittime, pensiamo: “Meno male che non è toccato a me.” Questa è la nostra felicità: scamparla dalle sofferenze!
C’è qualcosa che non quadra in tutto questo. Queste due cose straordinarie, il Creato e la nostra esistenza sono là e fan galoppare la nostra fantasia: quanto sarà grande quest’universo? Chi può immaginare dove e come finisce? Purtroppo, nemmeno la nostra immaginazione ce la fa ad arrivare a tanto. Troppo al di là di essa. Siamo proprio di fronte al più grande mistero della vita! E se sommiamo questo grande mistero all’altro, all’esistenza di noi esseri viventi, i misteri si moltiplicano. D’altra parte, il non sapere, il non capire, il non poter coglierne il significato genera un certo tipo di riflessioni: “Cosa c’entriamo noi, così piccoli, così appesantiti dalla legge di gravità, così schiacciati sulla terra e imprigionati dal corpo, cosa c’entriamo con questa grandiosa opera del Creato?” Ad analizzare questo concetto da un altro punto di vista possiamo anche dire il contrario! Non siamo forse noi i testimoni oculari di tutto ciò che esiste? Non sono forse le nostre intelligenze a formulare ipotesi sul significato della nostra esistenza e di tutto ciò che si vede? Senza di noi chi potrebbe dire che il creato esiste? Se non riusciamo a svelarne il mistero non è una buona ragione per autoescludersi. Le sonde? Piccoli oggetti destinati a perdersi nell’immensità del creato. I telescopi? Avidi guardoni di qualcosa che ne evidenzia il fascino ma che ne incrementa il mistero. Stiamo sicuramente cercando soluzioni in maniera sbagliata e in luoghi sbagliati. Ma siamo pur sempre dei fenomeni che vivono, che pensano, che valutano. Non siamo forse noi la vera rarità, il vero mistero di questo pur affascinante creato? Le stelle esistono da milioni di anni? Anche noi esistiamo da milioni di anni! Le stelle brillano? La nostra intelligenza brilla ancora più della loro luce! Ed ecco perché l’essere umano indaga, ecco perché non desiste. Paradossalmente è proprio l’intelligenza il nostro vero handicap perché ci sopravvaluta, ci fa credere di essere grandi, di poter capire, di poter risolvere, di poter conquistare. È proprio la nostra intelligenza che ci gonfia e ci illude. Cosa abbiamo scoperto coi telescopi? Solo le adiacenze del cosmo in cui viviamo. I nostri limiti sono messi in evidenza proprio dalle macchine che abbiamo creato.
Se avessimo telescopi dieci volte più potenti, cento volte più potenti, cosa potremmo vedere? Ancora universi, ancora universi e ancora universi … La fine non la vedremmo mai. Forse non c’è! E allora? Cosa andiamo a cercare tanto lontano? Quello che riusciamo a vedere è comunque solo una piccola parte. Per penetrare il mistero, per vederci dentro non dobbiamo sfondare le porte. Dobbiamo bussare timidamente, umilmente. Dobbiamo chiedere permesso. Allora forse qualcuno ci aprirà …
Nel frattempo proviamo a esplorare noi stessi, a guardarci dentro, a meravigliarci della vita che sgorga da quella magica scintilla che è in noi, la nostra anima, che non si vede, ma che crea e fa battere il nostro cuore…
Lucio Potini (Atmavidya das)
(Tratto dal libro Quel Cielo lontano e reperibile su Amazon.it in forma digitale e cartacea)