Per molti anni sono stato intimamente legato a tutte le fasi dell’esperienza alimentare: ho studiato la storia e la geografia del cibo, ho cercato e elaborato delle ricette, ho scritto e provato le ricette, ho parlato della coltivazione di piante ed erbe, dell’acquisto e della scelta degli ingredienti, della pianificazione dei menu, ho insegnato a cucinare e naturalmente, ho anche cucinato.
Ma il culmine di tutto questo è e sarà sempre l’esperienza finale del piacere di mangiare, facilitata dal senso del gusto.
Tutte le sfaccettature di cui sopra sarebbero state un’esperienza arida, come quella di leccare l’esterno di un barattolo di miele, e avrebbe avuto poco senso e nessuna attrazione se non fosse stato per il senso del gusto. Ma c’è qualcosa di più: il senso del gusto non ha significato senza il suo oggetto: il sapore.
Nel corso della storia la brama umana per il piacere del gusto ha rappresentato una forza trainante. Per avere le spezie sono stati fondati imperi, sono state attraversate terre inesplorate, e grandi religioni e filosofie sono mutate. Nel 1492 Cristoforo Colombo salpò alla ricerca delle spezie. Oggi l’influenza del sapore non è meno decisiva. Il successo e il fallimento di imperi economici, di multinazionali di bevande analcoliche, di snack food e di catene di fast food è spesso determinata dal gusto dei loro prodotti.
Quando eliminamo l’aspetto psicologico dell’esperienza alimentare, al di là della cultura, dell’estetica, degli aspetti sociali e dei bisogni nutrizionali, ci resta il sapore. È soprattutto la qualità del sapore che le persone cercano nel cibo. Eppure questo sapore è presente in una quantità troppo infinitesimale per poter essere misurata in qualsiasi termine culinario tradizionale sotto forma di grammi, millilitri o cucchiaini.
La nostra moderna industria alimentare utilizza sofisticati spettrometri, gas cromografi e analizzatori per dare una mappa dettagliata dei componenti aromatici di un certo alimento, per rilevarne gli aromi chimici in quantità fino pari a una parte per miliardo.
Ma l’olfatto umano è ancora più sensibile di qualsiasi macchina inventata fino ad ora. L’olfatto può rilevare degli aromi presenti in quantità di poche parti per trilione, una quantità equivalente allo 0,000000000003 percento. Il profumo di una fragola, per esempio, deriva dall’interazione di almeno 350 diverse sostanze chimiche che sono presenti in essa in quantità minime.
Forse vi starete chiedendo del perché siamo arrivati a parlare del naso. Non stavamo discutendo del gusto? La risposta è che non si può avere l’uno senza l’altro. L’aroma del cibo è responsabile fino al 90 percento del suo sapore.
Sappiamo che le papille gustative della nostra lingua possono rilevare la presenza di sei gusti, dolce, acido, amaro, salato, astringente e piccante. Le papille gustative dispongono solo di un mezzo di rilevamento piuttosto limitato rispetto al sistema olfattivo umano che può percepire migliaia di aromi diversi che sono costituiti da una miriade di componenti chimici.
Quello che chiamiamo sapore è infatti, principalmente l’odore dei gas rilasciati dalle sostanze chimiche che abbiamo appena messo in bocca.
L’atto di masticare, di succhiare o di bere una sostanza rilascia i suoi gas volatili. Scorrono dalla parte posteriore della bocca e su per le narici, o lungo il passaggio nella parte posteriore della bocca, fino a un sottile strato di cellule nervose situate alla base del naso, proprio tra gli occhi. Il cervello gestisce i complessi segnali olfattivi dell’epitelio olfattivo con i meno complessi segnali gustativi della lingua, assegna un sapore a ciò che avete in bocca e decide se è qualcosa che volete mangiare.
Le preferenze alimentari di una persona, come la sua personalità, si formano durante i primi anni di vita attraverso un processo di intenso condizionamento da parte di genitori, coetanei e società. I bambini possono imparare a gustare dei cibi piccanti, dei cibi insipidi o quelli del fast food, secondo quello che le persone mangiano intorno a loro. Questo spiega perché molti di noi hanno un cibo preferito che è stato in origine preparato da nostra madre, e come sia possibile che nessun altro cuoco riesca a fornirci quella stessa sensazione di gusto.
Anche l’aroma e la memoria sono in qualche modo inestricabilmente legati. Sono sicuro che tutti noi abbiamo sentito un particolare odore che ci ha riportato indietro di 20, 30 o anche 50 anni e ha evocato in noi una memoria molto intensa e dimenticata nel tempo.
Il senso dell’olfatto e del gusto umano possono essere fortemente influenzati da fattori e aspettative psicologiche che certamente non sono state ancora del tutto comprese. Ma oltre questo, vi sono degli aspetti superiori e trascendenti riguardo l’olfatto e il gusto. Forse questi argomenti vanno oltre i metodi della scienza moderna, eppure a me sembrano tangibili e reali. I miei anni in cucina sono sempre stati collegati con le mie prospettive spirituali. Quindi non sarebbe giusto concludere questo saggio senza condividere con voi alcune di queste prospettive riguardo l’olfatto e il gusto.
Nell’antica lingua spirituale dell’India, il sanscrito, troviamo il termine punya. Punya significa “ciò che non può essere diviso” o “originale”. Il mio primo incontro con questo termine è avvenuto leggendo la Bhagavad-gita. Ne ho acquistata una copia a Sydney nel 1970, quando visitavo il vecchio tempio Hare Krishna dopo la scuola. Uno dei 700 versi della Gita mi ha sempre accompagnato: “Punyo gandhah prithivyam ca”.
Il significato di questa frase è “Io sono la fragranza originale della terra”. Krishna, Dio, la Persona Suprema, sta parlando al suo amico e discepolo Arjuna di alcune delle sue qualità divine. Ogni cosa in questo mondo, dice, ha un certo sapore o profumo, come ad esempio il profumo di un fiore, o della terra, dell’acqua, del fuoco o dell’aria. Infatti quella fragranza originale e incontaminata, e che permea ogni cosa, è Dio.
Quella mia introduzione iniziale alla trascendenza aveva stimolato qualcosa di molto profondo dentro di me e mi aveva dato l’ispirazione per approfondirla ulteriormente. Ho letto di come gli studiosi della letteratura spirituale indiana abbiano paragonato i Veda a quello che viene conosciuto come l’albero dei desideri, perché contiene tutto ciò che è conoscibile. I Veda si occupano delle necessità materiali e della realizzazione spirituale. I Veda contengono principi di conoscenza che coprono argomenti sociali, politici, religiosi, economici, militari, medici, chimici, fisici e metafisici e tutto ciò che può essere necessario per soddisfare il corpo e l’anima.
Al di sopra di tutto troviamo delle indicazioni specifiche per la realizzazione spirituale. Questa conoscenza sistematica implica un graduale innalzamento dell’essere vivente al piano spirituale, e la più alta realizzazione spirituale è sapere che Dio, la Persona, è l’origine di tutti i gusti spirituali, o rasa.
Ogni essere vivente, sia esso umano, uccello, mammifero o insetto, desidera assaporare una gamma di piaceri derivati dalle percezioni sensoriali. Questi piaceri sensuali sono tecnicamente chiamati rasa. Questi rasa sono di varietà diverse.
La somma totale di tutti questi rasa si chiama affetto o amore. Lo scambio spirituale o rasa si manifesta pienamente nell’esistenza spirituale tra gli esseri viventi e il Signore Supremo. Dio, la Persona Suprema, è quindi descritto negli shruti-mantra, gli inni vedici, come “la fonte di ogni gusto”.
Percepire il gusto, il sapore e in effetti, il mondo, da questa prospettiva unica e affascinante, mi ha permesso di accedere a quello che certamente dev’essere l’aspetto completo della realtà.
Kurma dasa
(da kurma.net)