Venerdì 4 gennaio 1891, chi stava facendo il bagno nel fiume sacro Yamuna assistette a una scena incredibile. Si avvicinò una nave che aveva delle insegne scritte in una lingua sconosciuta.
Nella foschia mattutina, circondato da soldati armati, scese a terra un giovane dalla pelle chiara che indossava un abito da ufficiale, il suo aspetto però non era bellicoso. Lo straniero era il principe ereditario Nikolas, che presto sarebbe stato il futuro e ultimo imperatore russo.
La cittadina di Vrindavana, a 80 miglia a sud di Delhi, faceva parte del viaggio del principe ereditario, con Mumbai, Delhi, Gwalior, Agra, Ellora, Ahmedabad, Lucknow, Kolkata, Мadras e Sri Rangam, fino alle regioni meridionali del subcontinente indiano, da dove vide le coste di Ceylon.
L’erede al trono russo amava Vrindavana. Nikolas trovò che la città fosse molto simile a… Venezia. Dagli appunti di viaggio, si può presumere che la sua familiarità con Vrindavan sia avvenuta a Kesi Ghat, sulle rive del fiume Yamuna. All’ospite reale era stato mostrato il tempio di Madana Mohana. E uno dei templi “interessanti”, che visitò, potrebbe essere stato quello di Jugal Kishore. Secondo alcune supposizioni, mentre visitava uno dei templi, il principe ereditario ricevette le benedizioni dagli anziani locali di governare il suo regno. Ma forse questa potrebbe essere stata una leggenda. Ad ogni modo, 125 anni fa Nikolas II fu il primo “scopritore” russo di Vrindavan.
Il ricercatore Esper Ukhtomsky (1861-1921) ci ha offerto un resoconto dettagliato del viaggio di Nikolas II in Oriente. È interessante notare che si era unito alla spedizione solo pochi giorni prima della partenza. In qualità di diplomatico e studioso, Ukhtomsky si recò molte volte in Oriente, soprattutto in Mongolia, e conosceva bene le basi delle culture e delle religioni asiatiche. A bordo della fregata “Memoria di Azov” c’erano anche l’artista ed etnografo Nikolai Karazin (1842-1908) e Vasily Mendeleev, figlio del famoso autore della “Tavola di Mendelev”. Karasin realizzò molti bei disegni per illustrare il libro sul viaggio dello zar russo in Egitto, Siam, India e Giappone, e Mendelev fece una cronaca fotografica del viaggio. Quella collezione unica di oltre 200 immagini è conservata alla Biblioteca Nazionale Russa.
Perché Vrindavana è considerata una “terra promessa” per tutti gli indiani, come Betlemme per i cristiani e la Mecca per i musulmani? Durante tutto l’anno, centinaia di migliaia e talvolta anche milioni di persone vengono a Vrindavana desiderose di rendere omaggio al Signore, Krishna. Si dice che un solo passo sul suolo di Vrindavana sia uguale a un pellegrinaggio in qualsiasi altro luogo santo.
“Secondo l’ingenua dottrina che li porta ad affollarsi qui da luoghi lontani, se i pellegrini trascorrono un giorno nella terra natale di Krishna, questo è più importante per la salvezza delle loro anime che trascorrere anni nella santa Benares praticando la devozione e pregando”, – così scrive Ukhtomsky nel suo libro come per confermare questa verità.
A Vrindavana si possono sperimentare tutti i gusti e le esperienze spirituali dal provare la gioia dell’incontro con Dio all’insopportabile separazione da Lui. Queste emozioni riempiono i pellegrini non solo quando visitano i templi, ma ovunque, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non c’è da stupirsi – dopo tutto, questo è considerato il riflesso terreno dell’eterno pianeta spirituale di Krishna – Goloka Vrindavan, “pieno di conoscenza e beatitudine illimitata”, come affermato nelle scritture vediche. Il segreto per comprendere la natura trascendentale di Vrindavana è andarci solo con dei pellegrini che siano devoti di Krishna. È grazie a questi pellegrini che si può sviluppare lo stato d’animo giusto affinché il dhama sia incline ad accettare qualcuno come suo.
La storia di Vrindavan risale a più di cinquemila anni fa, quando era un villaggio pastorale tra foreste impenetrabili e prati con erba rigogliosa, su cui pascolavano milioni di mucche. Alcuni saggi credono che Vrindavana comprenda l’intera provincia di Vraja che è di circa 420 kmq, insieme a Vrindavana, la collina sacra Govardhana, Gokula, Varsana, il lago sacro Radhakunda e Nandagram. La parola “Vraja” significa “il luogo dove le mucche vanno al pascolo”. Vraja ha anche 137 foreste, legate ai passatempi di Krishna: ci sono 12 foreste principali. Vrindavan era anche una fitta foresta. Deve il suo nome a Vrinda, una compagna di Krishna, che controlla ogni cosa per compiacere Krishna e i Suoi amici.
Altri saggi credono che Vraja sia solo l’ambiente circostante di Vrindavana, mettendo così Vrindavana al centro di tutti gli eventi del passato, presente e futuro. Comunque, l’intera Vraja viene associata a Krishna. Tutti gli indiani rispettano molto Krishna. La parola Krishna significa “completamente attraente” e i Suoi devoti lo vedono come tale.
Filosoficamente comprendiamo che Krishna è l’aspetto più personale di Dio. In nessun altro modo il Signore manifesta una tale gamma illimitata di relazioni personali tra Sé e le Sue parti. Si può assumere il ruolo di das (servo obbediente), come fece il famoso poeta cieco Suridas. Oppure diventare sakhi, un amico di Krishna, come il coraggioso guerriero Arjuna della “Bhagavad Gita” o la bella Draupadi del “Mahabharata”. Vatsalah vuol dire servire Krishna come un genitore serve il bambino, come Yasoda e molte madri indiane. Il credente può essere con Krishna in una relazione coniugale, come le pastorelle di Vrindavana. Tutti questi diversi tipi di relazione sono colmi di un amore disinteressato e quindi assoluti.”
Purtroppo, nonostante la sua erudizione nelle questioni orientali, Ukhtomsky non aveva veramente capito la posizione e il ruolo di Krishna nel quadro generale degli avatara. Non tutti i brahmani, esperti nei mantra e negli inni vedici, sono in grado di comprendere e accettare chiaramente la supremazia di Krishna, quindi che dire di quei primi russi che arrivarono a Vrindavana con la loro limitata comprensione.
Ecco come un compagno del principe ereditario presenta la sua versione dell’origine e della posizione di Krishna. Era chiaramente sotto l’influenza dell’indologia europea, ma intuì correttamente anche le sottigliezze della natura incomprensibile di Krishna:
“Gli orientalisti non riescono ancora a rispondere molto bene alla domanda: chi è Krishna e cosa costituisce il nucleo del Suo complesso mondo? Una cosa è certa: molto tempo fa le comunità pastorali (gli Yadava) vennero alla Yamuna, fondarono un regno con capitale Mathura, e poiché possedeva alcune qualità straordinarie divinizzarono quel principe che era in mezzo a loro, Krishna, che aveva la pelle scura. (Va notato che Buddha uscì dalla nazione di origine scita e non essendo ariano a volte era raffigurato quasi nero). La benevola divinità degli Yadava attrasse la popolazione circostante.
I bramini, attenendosi alle strategia primordiale di conquistare un nemico spirituale portandolo nel loro pantheon, inventarono il Krishnaismo, che da allora ha guadagnato ancora più fascino per le masse. Adorando Krishna, “avatar” e incarnazione di Vishnu, il popolo fedele ha celebrato il trionfo del bene e dell’esuberanza sullo sconforto e la disperazione, che in parte, forse, sono stati un po’ troppo pesantemente dominati dalla visione pessimistica degli indiani. Krishna è felice, birichino, segnato da pure debolezze e passioni umane, e difende i deboli. Cos’altro cerca la folla?
Dotata della capacità di riempire l’universo di felicità e gioia, la divinità di Mathura [Krishna] amava ispirare animali e uccelli, pastori e coloni, e persino gli oggetti inanimati con il dolce suono del suo flauto. Quando tutto e tutti vengono colpiti da un fremito di piacere, Orfeo si trasforma in un predicatore di una moralità rigorosamente attenta, in una sorta di Buddha che ha compreso la vanità dei guai terreni, l’incarnazione del distacco e della moderazione. Agli occhi di Krishna, che sembravano due meravigliosi fiori di loto, guizzavano solo l’incanto dell’amore e l’appello a un’estasi trasgressiva. Ma all’improvviso dallo stesso viso prepotentemente attraente emana qualcosa di molto diverso, e di molto più alto, qualcosa libero dalla sporcizia mondana e dall’oscurità delle passioni. Un misterioso essere soprannaturale, un’incomprensibile calderone di appassionate speculazioni!”
Il risveglio di Vrindavana è dovuto a Sri Chaitanya, che 500 anni fa la riportò al suo antico splendore. Chaitanya visitò Vrindavana e i suoi dintorni, rivelando con i suoi poteri mistici molti dei suoi luoghi sacri ormai dimenticati. Mandò i fratelli Rupa e Sanatana e ordinò loro di restaurare Vrindavan come deve essere un sacro dham. A questi due saggi si unirono in seguito altri quattro gosvami.
Una rinascita moderna iniziata alla fine degli anni ’60, quando il fondatore-acharya della Società Internazionale per la Coscienza di Krishna, Bhaktivedanta Swami Prabhupada ha portato i suoi discepoli occidentali a Vrindavana. Vedendo l’entusiasmo dei sannyasi bianchi e dei brahmana che seguivano la loro tradizione religiosa, gli indiani subirono un vero e proprio shock culturale. Centinaia di migliaia di indiani andarono a Vrindavana solo per guardare gli “elefanti bianchi” come poi divennero noti.
Ogni nuovo giorno a Vrindavana inizia molto presto. Alle 2 del mattino il paese si sveglia e iniziano a risuonare le campane dell’altare. Nel buio la gente si precipita nei templi, salutandosi con: “Radhe, Radhe!” (Radharani è l’amica preferita di Krishna; nel loro cuore i Vrajavasi la adorano anche più di Krishna). Prima dell’alba molte persone visitano vari grandi santuari e alcuni di loro camminano per l’intera Vrindavana.
Vrindavana non sarebbe una città santa se non offrisse degli insegnamenti spirituali. Prima di tutto Vrindavana è un vero modello di semplicità spirituale. Vrindavana è permeata di pace naturale. Qui regna la cordialità e la non violenza verso gli altri esseri viventi. La barriera della sfiducia, tipica del mondo occidentale, e la regola del “quello che è mio è mio” qui si dissolvono, sebbene ognuno sia impegnato con la propria occupazione quotidiana. Vrindavana è un esempio di una sorta di buona democrazia. Nessuno vi incolperà per il colore della vostra pelle o perché avete una religione diversa. E se dite “Radhe!”, allora sarete subito il migliore amico di tutti.
Articolo dell’Isvara Academy
(tradotto da Sofiya Perfilyeva e corretto da Visnu Murti das per il sito ISKCON News)