Il primo ministro italiano vedrà anche il presidente della Repubblica Ram Nath Kovind. Fra i vari temi indiscussione, il riconoscimento da parte dell’Italia della congregazione induista come religione: la richiesta di diventare “ente di culto” è stata presentata sette anni fa.
di VINCENZO NIGRO per Repubblica.it
IL BREVE viaggio in India del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è un segnale importante. Dopo i lunghi mesi di gelo provocati dal caso dei due marò arrestati per l’uccisione di due pescatori in Kerala, Italia e India tornano a relazioni più che normali. Gentiloni è in India con una delegazione di una ventina di industriali: vedrà il primo ministro nazionalista Narendra Modi e anche il presidente della Repubblica indiana Ram Nath Kovind.
Fra gli altri temi ci sarà una piccola ma insistente richiesta degli indiani: capire perché l’Italia da 7 anni non riconosce il culto degli Hare Krishna, anche se l’istruttoria del ministero degli Interni e degli Uffici legislativi di Palazzo Chigi da mesi è stata conclusa, e la pratica di riconoscimento è chiusa in un cassetto della presidenza del Consiglio. Pochi giorni fa il presidente indiano Kovind e il premier Modi hanno ricevuto lettere e ascoltato petizioni di questa importante congregazione dell’induismo indiano. Gli Hare Krishna hanno incaricato i loro leader politici di chiedere all’Italia perché è fermo l’accordo che permetterebbe loro di esercitare in maniera degna in Italia il loro culto, godendo delle garanzie che vengono offerte ad altri culti induisti, ai musulmani, ai buddisti e ad altre religioni.
La congregazione induista è qualcosa di simile a un ordine religioso per i cristiani, come i francescani o i domenicani. Anche il presidente Kovind è un seguace di Krishna: la settimana scorsa ha ricevuto il “vescovo” degli Hare Khrishna, Gopal Krishna Goswami che gli ha chiesto di parlare dell’accordo con lo Stato italiano proprio a Paolo Gentiloni. La “Congregazione italiana per la coscienza di Khrishna”, ha presentato nel 2010 la richiesta di essere riconosciuta dallo Stato italiano come “ente di culto”. Nel 2014 una possibile svolta: fu allora che arrivò il parere favorevole del Consiglio di Stato e, come previsto dalla legge, il ministero degli Interni preparò il decreto del presidente della Repubblica, trasmesso alla presidenza del Consiglio dei ministri. Ma ormai da più di 3 anni il decreto è fermo.
Nell’ottobre del 2016, su sollecitazione dell’ambasciata dell’India in Italia, la Camera dei deputati ha ospitato una conferenza della Congregazione in occasione del loro 50° anniversario di attività in Occidente, alla presenza dell’ambasciatore dell’India, di rappresentanti delle altre religioni e di molti parlamentari. Ancora: nel gennaio del 2017 un’interpellanza urgente venne firmata da trenta parlamentari del Pd, prima firma Lia Quartapelle, per avere notizie del ritardo. La risposta del governo sembrava incoraggiante: nulla ostava alla trasmissione degli atti alla presidenza della Repubblica per l’atto finale del riconoscimento. Ma da allora ancora nulla per gli Hare Krishna italiani. Da tempo lo Stato italiano riconosce e rispetta intese con l’Unione buddhista italiana, l’Unione induista italiana e la Soka Gakkai. Tutte loro hanno ottenuto il loro riconoscimento, all’infuori della congregazione induista che viene ritenuta fra le più pacifiche tra le varie famiglie religiose indiane e di tutta la galassia dell’induismo.
(con permesso di Repubblica.it)